Noia a San Siro

Roberto Beccantini23 gennaio 2022

Vita bassa, da 0-0 e tutti a nanna dopo Carosello, lontano dalla movida di Inter, Napoli, Atalanta (al completo) e del Diavolo d’andata. Le sfide tra Milan e Juventus strizzano spesso l’occhio alla storia, ma questa volta ci si si deve accontentare delle briciole. Mettiamoci pure l’erba di San Siro – un’erbaccia, dicono – e i cerotti con cui Pioli e Allegri avevano medicato gli assetti. Anche De Ligt; e, durante, persino Ibra. Però.

Il Milan pensa a tutto e a tutti, ormai, tranne che allo scudetto. A Madama, visto il pari della Dea, non è parso vero di poter «fingere». Per attaccare, qua e là ha attaccato. Ma tiri in porta, zero. Leao e Theo, se non altro, hanno stuzzicato Szczesny. E’ stato un lungo, barboso armistizio di 95’. Citerò solo una volta Chelsea-Tottenham: promesso.

Le difese – Romagnoli e Kalulu da una parte, Chiellini e Rugani dall’altra – spadroneggiavano, surrogate da un gran ribollir di stinchi. Gira e rigira, se si escludono le bollicine del «primo» Leao, punte e puntine sono finite alla periferia della notte: Brahim Diaz e Messias, lo stesso Giroud, Rebic per gli spiccioli concessigli; Morata, perennemente spalle alla porta, «occhi di bragia» Dybala gironzolante a caccia di chissà cosa o di chissà chi. Tocchi brevi, stop avventurosi, e quella lontananza dall’area che non sa mai come liquidare, se per scelta tecnica o per luna storta.

I migliori? Tonali, anche se calato, e Bentancur, il Calabria dell’avvio e il Rugani con l’elmetto, due chiusure del quale mi hanno commosso, ebbene sì. Il giallo immediato ha ridotto Locatelli, atteso al varco, a una caricatura di Amleto, essere o non essere. Le edicole si aspettavano tuoni, lampi, almeno piovaschi. Niente: solo nuvole. Parafrasando il Victor Hugo di Cocteau: «Milan e Juventus erano dei pazzi che credevano di essere Milan e Juventus».

Da Alex Sandro a Pellegrini

Roberto Beccantini15 gennaio 2022

Tutto era cominciato proprio con l’Udinese, in Friuli. Un quarto d’ora da favola, i gol di Dybala e Cuadrado, gli scempi di Szczesny, i due pali, l’alluce tecnologico che tolse l’ultimo gol all’ultimo Cristiano. Da quel dì, via il Marziano e – salvo rari sprazzi: in Champions, soprattutto – un attorcigliarsi lento e mesto su sé stessa, la Juventus. Fino all’Udinese, again. Allegri è il candidato della base alla «presidenza» delle responsabilità. Adani e Cassano lo voterebbero per alzata di mano già al primo scrutinio. Per il resto, e con i resti, si vive alla giornata.

Mentre l’Inter si è juventinizzata (Marotta, Conte, forse Dybala) la Juventus si è dejuventinizzata. Otto cambi, rispetto a San Siro. E la solita solfa. L’Udinese dietro, Kean un po’ qua e un po’ là, Arthur a ricamare, Bentancur a recuperare, Kulu a caccia del dribbling perduto. Il gol lo segna Dybala, su azione Arthur-Kean-Nuytinck. Non esulta, l’Omarino. Guarda, torvo, la tribuna. Allegri l’ha fatto capitano. Gradi, non gradini. «Arrivamaluccio», in compenso, parla troppo: contatto, di sicuro; contratto, boh. Dopo la Supercoppa, si gridò: perché Alex Sandro e non Pellegrini. Stavolta, dopo Arslan e soci, perché Pellegrini e non De Sciglio?

Piano piano, la squadra di Cioffi, bersagliata dal Covid, ha preso campo con il suo rambismo da provincia, risorsa e non certo limite. La Juventus ha cominciato a rinculare, molti errori nei tocchi. Mollezza, lentezza. Paura di aver coraggio.

Allegri è ricorso a energie fresche. Bernardeschi, per esempio: svagato e pure a rischio penalty; Locatelli, meglio. E, per fortuna, De Sciglio. Suo il cross, da un’aperturona di Dybala, per la testa di McKennie: lavagna, lavagna delle mie brame. Sei vittorie e due pareggi nelle ultime otto. Rare occasioni; palla sui piedi, spesso. Come una volta: ma senza i campioni di una volta. E l’Omarino, lontano dall’area (solo dall’area?): troppo, ma serviva, serve, un filo di luce.

Sorpreso dal corto muso

Roberto Beccantini13 gennaio 2022

La notizia non è che la Supercoppa l’abbia vinta l’Inter, con merito. La notizia è che la Juventus – questa Juventus, così decimata – l’abbia portata all’ultima mischia dei supplementari. Una brasilianata di Alex Sandro, do di petto in piena area come un rutto in pieno brindisi, ha spalancato la porta a Sanchez. Due a uno. A McKennie aveva replicato Lau-Toro, di penalty, per una sciocchezzuola di De Sciglio su Dzeko.

Inzaghi e Allegri se la sono giocata con le proprie armi, figlie di arsenali e dottrine diverse. I campioni, aggredendo ora con furore ora con disordine. Gli ex tiranni, catenacciando e operando di rimessa. Vivi, ammesso che possa essere un titolo, gagliardi e, talvolta, reattivi.

I blitz di Perisic erano imperiosi, mentre Calhanoglu, Brozovic e Barella trovavano fior di reticolati per i loro denti. Morata che si allarga e crossa è un’azione che comincia ad assomigliare a uno schema: all’Olimpico, testa e gol del centrocampista che s’inserisce, Locatelli; a San Siro, testa e gol di McKennie. Per il resto, briciole: compresi i due tiri di Bernardeschi in avvio di ripresa. Stava corta, la capolista. Madama, in compenso, praticava un pressing che la portava, non appena gli avversari recuperavano palla, a spaccarsi in due.

Dalle parti di Perin fioccavano angoli, campanili, bolge: non occasioni (se escludiamo una parata-più-palo su Dumfries). Dalle parti di Handanovic, succedeva ancora meno. Il blitz del texano apparteneva ai rari momenti in cui la Juventus riusciva a scappare di prigione.

Non si può dire che i cambi siano stati banali: Sanchez ha deciso, Dybala ha partecipato. Sul risultato, poco da aggiungere. L’Inter non aveva bisogno di verifiche. La Juventus, sì: già non sa essere possessiva al completo, figuriamoci così. Ma ha lottato. L’avesse fatto sempre…